TEMPO PIENO 2025

di Redazione

 

Cos’è la scuola a Tempo pieno?

Il “Tempo pieno” è un modello di scuola primaria che prevede due insegnanti su una classe, la permanenza a scuola di alunni e alunne per otto ore al giorno, il pranzo a scuola, l'articolazione della didattica in buona parte laboratoriale, soprattutto nel settore pomeridiano dell'orario. Inoltre prevede momenti di compresenza dei due insegnanti e quindi la possibilità di articolare la didattica per gruppi, organizzare attività di recupero e uscite sul territorio.

 

Quando nasce?

Il Tempo pieno nasce tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, come modello sperimentale. Il fine è quello di limitare i condizionamenti prodotti dalle diseguaglianze sociali attraverso un aumento del tempo-scuola che non si riduca a doposcuola solo per i più disagiati, ma che coinvolga tutti i bambini e le bambine in un’ottica interclassista ed egualitaria. Attraverso questa sperimentazione vengono poi introdotti numerosi cambiamenti dell’impianto didattico: prima di tutto la pluralità e contitolarità dei docenti rispetto alla scuola tradizionale del maestro/a unici. Poi la didattica tendenzialmente trasmissiva e selettiva della scuola tradizionale viene sostituita con esperienze di tipo concreto e laboratoriale, con il coinvolgimento diretto del corpo, con attività cooperative organizzate per gruppi di bambini, anche a classi aperte, cioè con bambini di diverse classi e anche di diverse età.


Come si è evoluta nel tempo?

Negli anni Settanta il numero delle scuole a tempo pieno è cresciuto rapidamente, soprattutto per l'impegno di molte amministrazioni comunali di grandi città che investirono in questa trasformazione (una fu proprio Bologna con Bruno Ciari). Questa crescita delle sezioni a tempo pieno andava anche  incontro alle esigenze lavorative di molte madri e padri che non avrebbero avuto la possibilità di affidare nel pomeriggio i figli ai nonni. Nel decennio successivo però l’aumento delle sezioni subisce un rallentamento, evidentemente per il costo maggiore richiesto da una sezione a tempo pieno rispetto ad una sezione tradizionale (allora il rapporto del personale era 1:2, cioè due docenti per ogni classe a tempo pieno contro un docente per ogni classe tradizionale). Nel 1990 la legge 148 di riforma della scuola elementare ha reso strutturali due modelli di scuola: quello a tempo pieno e quello a modulo (3 insegnanti su due classi) generalizzando quindi la pluralità docente in tutta la scuola elementare (mentre fino a quel momento era presente solo nelle sezioni a tempo pieno). Da quel momento però, per ragioni economiche, la crescita ulteriore delle richieste di sezioni a tempo pieno è stata praticamente interrotta dal blocco ministeriale imposto agli organici dei docenti, cioè al numero di docenti assegnato dal ministero per questo modello di scuola. In quel periodo il rapporto di costi tra sezioni a tempo pieno e sezioni a modulo era diventato 2:1,5 L'ottica quindi di risparmio economico ha interrotto la generalizzazione di un modello di scuola che continuava ad essere richiesto dai genitori e dai docenti, limitandone la diffusione certamente al di sotto di quelle che erano le esigenze che emergevano dalla società. Nel primo decennio del 2000 si sono manifestati invece i primi tentativi ministeriali di abolire il modello, sempre nell'ottica di risparmiare risorse economiche ma aggiungendo l’ulteriore finalità di diminuire i tempi scolastici. Infatti una scuola aperta per un tempo ridotto significa consegnare il tempo mancante al mercato formale e informale del tempo libero, costituito da corsi, doposcuola privati, attività sportive, baby sitter; i genitori che non trovano posto nella scuola pubblica nel pomeriggio sono obbligati ad acquistare soluzioni alternative sul mercato. Se i primi tentativi in questa direzione hanno prodotto grandi mobilitazioni di risposta che hanno scongiurato il pericolo (a Bologna due enormi manifestazioni nel 2003), in seguito, nel 2009, un nuovo attacco ha purtroppo avuto successo. La riforma Gelmini infatti ha abolito nominalmente il modello di scuola a tempo pieno con le compresenze, spezzando la titolarità di due docenti per classe e inducendo, attraverso l'autonomia scolastica, molti dirigenti a spezzettare le assegnazioni e i modelli orari in direzione di una secondarizzazione della scuola elementare. In pratica molti docenti si sono trovati a dover insegnare su più classi, con nuovi orari che frammentavano i tempi della didattica in unità di una o due ore, rendendo impraticabili molte delle esperienze laboratoriali che richiedevano tempi distesi e contribuendo a rendere sempre più difficile organizzare le uscite sul territorio (musei, passeggiate, che necessitano di due docenti in contemporanea). L’intervento di Gelmini ha abolito anche il modello a modulo, riducendo il tempo scuola a 24 e 27 ore di base. Ciò ha trasformato ancora il rapporto del costo dell’organico tra tempo pieno e modulo in 2:1,23. Negli ultimi quindici anni però, nonostante questo grande attacco, gli organici nominalmente assegnati alle classi a tempo pieno hanno continuato lentamente a crescere, spesso per effetto di proteste di comitati dei genitori. Attualmente la scuola a tempo pieno classica esiste solo in poche situazioni, mentre molte sono le formule di compromesso che si sono affermate, dove mancano sempre alcuni degli elementi organizzativi che dovrebbero assicurare le condizioni per un tempo pieno di qualità: 40 ore, due docenti per classe, 4 ore di contemporaneità garantite.

Quali sono le caratteristiche pedagogiche di questo modello di scuola?
Nel tempo pieno i bambini rimangono a scuola otto ore al giorno, un tempo estremamente lungo che, evidentemente, non può essere dedicato solo alla didattica tradizionale. In questo contesto diventano molto importanti i momenti del pasto (che è anche il momento di socializzazione e di educazione alimentare) e i momenti della ricreazione (che costituiscono una palestra di socialità libera e di crescita delle capacità di convivenza). I momenti dedicati alla didattica vengono articolati in modo molto diversificato; oltre alla didattica formale sono fondamentali le attività a gruppi, le attività di tipo cooperativo ed esperienziale, le uscite sul territorio, le attività espressive, artistiche e fisiche, le attività in forma di gioco. Il modello non prevede l'assegnazione di compiti a casa se non nel fine settimana (vista la lunga durata dell’orario scolastico).

 

Qual è l’attuale situazione degli organici, nazionali, regionali e provinciali?
Attualmente per capire la diffusione del modello a tempo pieno non è sufficiente disporre dei numeri degli organici assegnati alle scuole, ma bisogna sapere anche come le scuole decidono di utilizzarli. Partiamo dagli organici[1]. A livello nazionale nel 2024-25 l'organico a tempo pieno costituiva il 39,79% delle classi, misurato sulle classi quinte. La situazione però è molto diversificata sul territorio: si va dal 60% del Lazio, al 56% della Toscana, 54% della Liguria, 53% della Lombardia, 52% del Piemonte, 51% di Basilicata ed Emilia Romagna, mentre fanalini di coda sono il Molise con solo il 9% delle classi, la Sicilia con il 13,3%, la Puglia con il 20%, l'Abruzzo col 23% e la Calabria col 25%. La situazione varia anche nelle diverse province. La provincia di Bologna ha il 64,68 di classi con organico a tempo pieno.

 

Quali sono gli elementi che creano difficoltà?

Prima dell’intervento di Gelmini negli Istituti comprensivi convivevano plessi a tempo pieno e plessi a modulo, due modelli di scuola differenti che avrebbero risposto ad esigenze diverse sia dei genitori sia degli insegnanti. Invece nella situazione attuale le classi che si vedono attribuito un organico a tempo pieno non necessariamente avranno un modello pedagogico e nemmeno un'articolazione organizzativa a tempo pieno. Infatti il modello a modulo, anch'esso nominalmente non più esistente, è progettato dal ministero per 24 o 27 ore settimanali. Visto però che quasi nessuna scuola assicura solamente queste ore settimanali, in moltissimi casi le ore di compresenza del tempo pieno vengono utilizzate per aumentare l'orario settimanale delle sezioni cosiddette a modulo. Ciò crea un grande disordine organizzativo, molti insegnanti vengono assegnati a due o più classi e devono cambiare classe più volte nella stessa giornata, i tempi della didattica risultano frammentati come lo sono nelle scuole secondarie (mentre i bambini di questa fascia d'età avrebbero bisogno di tempi distesi).
A ciò si aggiunge la ferma volontà del Ministero di ridurre le spese per i supplenti, cosa che ha spinto più volte nel corso degli ultimi 15 anni i ministri a sollecitare i dirigenti ad utilizzare le ore di contemporaneità (progettate per uscite didattiche, recupero di alunni in difficoltà e lavori a gruppi) per supplire i docenti assenti, evitando di chiamare supplenti. Il risultato è stato l’aumento di ore di permanenza a scuola  per le classi che avrebbero l’orario settimanale a 24 o 27 ore, ma allo stesso tempo la perdita delle differenze pedagogiche tra i due modelli di scuola, tendenzialmente unificati in nome della semplice quantità di ore. Se fino a prima dell’intervento di Gelmini il momento dell'iscrizione poteva essere un fondamentale indicatore delle esigenze sociali della popolazione riguardo al tempo scuola (in base alle iscrizioni alle scuole a modulo e a tempo pieno si poteva misurare il bisogno dei genitori), attualmente, con la perdita delle differenze tra i diversi modelli di scuola, questo indicatore viene a cadere, mascherando la fortissima richiesta di tempo pieno che è ancora presente nel territorio, accentuata dal lungo periodo di crisi economica che non accenna a terminare. L'effetto combinato di questi elementi fa sì che anche che gli Istituti comprensivi con plessi dotati dell’intero organico a tempo pieno non dispongano più della tranquillità di progettare un curriculum scolastico con uscite, lavori a gruppi, lavori di recupero, attività di arricchimento, poiché questa progettualità viene minata dalla continua chiamata degli insegnanti compresenti per supplire colleghi assenti in altre classi.

 

Concludendo

Per concludere, possiamo dire che la possibilità di fare scuola a Tempo pieno patisce diversi ordini di difficoltà.

1) L’organico assegnato dal ministero è insufficiente rispetto alle richieste (e tutte le affermazioni relative ad un’estensione del modello si sono rivelate pura propaganda).

2) L’organico all’interno dei plessi viene assegnato seguendo logiche di risparmio e viene spalmato  su molte classi senza tutelare le sezioni a tempo pieno e la loro possibilità di fare didattica secondo le caratteristiche pedagogiche del modello.

3)  L’organico all’interno dei plessi viene reso funzionale e utilizzato per coprire le mancate chiamate di supplenti, per decisione di dirigenti che scelgono di risparmiare a costo di peggiorare la qualità della didattica, spesso incentivati o spinti in questo dai ministri (vedi la recente Nota ministeriale 8446 del 3 dicembre 2024).

4) Negli ultimi decenni la pedagogia proposta dal ministero ha puntato moltissimo sulle prove standardizzate (invalsi), sulla disciplinarizzazione precoce e sulla valutazione meritocratica, andando quindi in direzione contraria al modello pedagogico promosso dal tempo pieno (didattica cooperativa, laboratoriale, concreta, interdisciplinare) e anche il mondo della formazione universitaria non si è opposto a questa trasformazione[2].

5) A queste oggettive difficoltà dobbiamo aggiungere una situazione degli edifici scolastici che solo raramente mette a disposizione spazi interni ed esterni fondamentali per una scuola a tempo pieno (pensiamo alle mense ristrette o costrette a doppi turni, all’assenza di spazi per lavori a gruppi o laboratori, alla scarsità di spazi verdi).

 

È ancora possibile lottare per avere il diritto ad una scuola a tempo pieno dignitosa?

 


[1] Decreto n. 33 del 26 febbraio 2024

[2] Il mondo dell’università ha abbandonato precocemente la scuola a tempo pieno: nessuna ricerca, rarissimi gli articoli, nessun volume dopo il meritorio La scuola a tempo pieno in Italia: una grande utopia? Curato nel 2004 da Enzo Catarsi (se non la nuova edizione dell’ultracentenario e prezioso De Bartolomeis che nel 2023 ripubblica il suo storico volume Scuola a tempo pieno del 1972). Nessuna volontà di riflettere con strumenti adeguati sulla realtà che ha progressivamente preso corpo nell’ultimo ventennio. Solo un’attenzione limitata al versante storico memorialistico, che cresce però soprattutto grazie alle riflessioni delle maestre e dei maestri in pensione.