L’ARREDO SBAGLIATO

Cenni storici sull’arredo scolastico

di Gianfranco Callieri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Ai bambini comandano tutti», pensava e scriveva, tanti anni fa, un maestro fortunatamente abituato a non confondere autoritarismo e autorità, «i genitori a casa, il prete in chiesa, il maestro a scuola; poi comanderà il dirigente al partito o al sindacato, il sergente al soldato e infine il padrone in fabbrica. Cresciuto uomo così, si rifarà comandando alla moglie e ai figli e allungherà la catena, che nessuno osa spezzare perché ognuno di noi tende a diventare secondino». (1) Quel maestro, nato nel tratto di pianura padana circoscritto da Parma, Brescia e Mantova, diplomatosi all’istituto magistrale nel 1940 e finito in carcere, per motivi politici, durante la Seconda Guerra Mondiale, era entrato in ruolo nel 1948 e aveva aderito con entusiasmo al Movimento di Cooperazione Educativa, gruppo di insegnanti elementari — presieduto dal pedagogista Giuseppe Tamagnini — orientato a introdurre e sperimentare anche in Italia le idee, allora misconosciute, dell’educatore francese Célestin Freinet, secondo il quale la scuola avrebbe dovuto rappresentare il momento comunitario per antonomasia, basato su errori e tentativi reciproci di docenti e discenti ma epurato dai caratteri di verticismo, vessazione e rigore sin lì associati alla didattica. La sua rivalutazione del senso più profondo del verbo transitivo insegnare, ossia «imprimere dei segni» (nell’animo), lasciare una traccia, accompagnare una formazione in divenire, avrebbe conosciuto diffusione e seguaci soprattutto nell’anno fatidico del 1968, quando il testo più importante e celebrato di uno dei grandi pedagoghi del ‘900 — un brasiliano imprigionato e costretto all’esilio dall’avvento, nel 1964, di una dittatura militare nazionalista e anticomunista — arrivò anche in Italia (2), innescando un dibattito già latente, ancorché mai sviluppatosi davvero, dai tempi in cui Maria Montessori individuava, negli «ambienti scolastici», strumenti adatti a rivelare, dei bambini, i «bisogni e le attitudini» altrimenti destinate a rimanere «represse» (3). Se la narrazione della sfera scolastica aveva fino a quel momento insistito sulle difficoltà dell’insegnamento in provincia (4), sulla «miseria senza remissione» sofferta dal Sud del paese (5) o sulle contraddizioni economiche della nazione anche nelle stagioni del suo miracolo economico, per cui gli insegnanti ancora si rammaricavano di avere, in classe, «trentadue bastardi dell’istituto derelitti» (6), il discorso iniziò nei ’60 a spostarsi sulle prerogative degli studenti e sulla possibilità di colmare pregresse disparità sociali, favorire un processo (ritenuto forse ancora da compiersi e nondimeno verosimile) di graduale perequazione educativa. Dal regolamento generale del 1888, ispirato dal pedagogista bellunese Aristide Gabelli e firmato dal ministro Paolo Boselli («La scuola ha da servire a tre fini: a dar vigore al corpo, penetrazione all'intelligenza e rettitudine all'animo, e governarsi in ogni cosa per modo, in quanto è fattibile da conseguirli») (7), la configurazione di classi e banchi, questi ultimi predisposti per due alunni e improntati a criteri ergonomici, non venne in pratica modificata fino al 1956, quando i banchi montessoriani — leggeri tavoli monoposto, ubicabili a seconda delle esigenze didattiche — fecero il loro ingresso nelle scuole italiane. Un anno dopo, non a caso, del tema si interessò anche la XI Triennale di Milano, presentando non solo numerose aziende straniere, ma nuove realtà tricolori appena sorte con lo scopo, appunto, di produrre tavolini indipendenti, banchi, arredi, armadietti (8). Dalle sedie e dalle lavagne mobili disegnate da Ko Verzuu, nei Paesi Bassi, per la manifattura di Aldo Vers (1930), fino ai mobili per l’infanzia realizzati in betulla da Alvar Aalto, tra il 1933 e il 1946 (oggi conservati presso il museo civico di Helsinki, in Finlandia); dai tavolini impilabili «Trissen» della danese Nanna Ditzel fino ai progetti di Jean Prouvé, Arne Jacobsen e Marcel Lods, tutti caratterizzati dall’obiettivo di garantire agli alunni il corretto svolgimento delle attività individuali senza comprometterne la partecipazione (anzi facilitandola) a quelle collettive, i modelli di riferimento del nuovo arredo scolastico italiano potevano sembrare irraggiungibili (9). E invece, ecco apparire nel 1960, per la ditta Palini di Pisogne (Bs) i banchi e gli sgabelli in tubo curvato — insigniti anche del Compasso d’Oro — di Achille e Pier Giacomo Castiglioni (con Luigi Caccia Dominioni); le «seggioline in polietilene per asili e scuole elementari» prodotte da Kartell (nel 1964) su disegno di Richard Sapper e Marco Zanuso; i rigorosi banchi e sedie presentati da Paolo Rizzatto, Aldo Jacober e Naomi Matsunaga alla Mostra Internazionale Arredo di Monza del 1966, tra l’altro ospitante un concorso dedicato proprio alla scuola italiana (10). Questi articoli, in qualche modo accostabili al mobilio ludico-didattico del designer tedesco (di origine elvetica) Luigi Colani o alle sedute, parimenti creative, progettate per gli ambienti di apprendimento da Hans Brockhage, Gloria Caranica, Magnus Stephensen o Kristian Solmer Vedel, ebbero il merito enorme di trascendere la semplice miniaturizzazione del concetto stesso di «infanzia» volta a restituire, della scuola, un’immagine irreale e stucchevole: provarono altresì a istituire i prolegomeni di una concezione nuova, aperta e democratica dell’insegnamento, tanto attiva (persino nei suoi strumenti d’arredo) quanto doveva esserlo la rinnovata cittadinanza degli esseri umani un tempo relegati su panche di legno, in classi sovraffollate e dalle precarie condizioni igienico-sanitarie. Ancora, i progetti sin qui citati, e accanto a essi altre iniziative a carattere sia sperimentale sia formativo, come i mobili «a incastro», in multistrato, della serie Junior (1966) di Angelo Mangiarotti per la Casaluci di Rovellasca (Co), con una libreria per classi senza nulla da invidiare alla Tunisie di Charlotte Perriand (11), si avvalsero della carta sin lì poco adoperata della modularità, consentendo alle sedute di farsi impilabili, alle librerie e ai banchi di essere spostati con estrema flessibilità, alle cattedre di «diluire» il proprio impatto in una nuova disposizione anti-frontale, alle classi di costituirsi intorno a pochi e funzionali elementi la cui posizione potesse cambiare a seconda delle necessità. L’impatto di queste nuove metodologie, del resto, finì per esercitare un’influenza fondamentale sulla scena del design nazionale nel suo complesso, perché progetti ancora oggi modernissimi come la culla Annabella di Mario Ceroli (fabbricata nel 1973 dalla pistoiese Poltronova) o i vari Abitacoli di Bruno Munari (12), vere e proprie «case per bambini» interne alle case dei grandi (li produsse dal 1971 la Robots di Binasco), non sarebbero mai nati se qualcuno, dieci anni prima, non avesse iniziato a ragionare sugli ambienti didattici in qualità di spazi approntati non solo per la formazione intellettuale ma per il gioco, per la conoscenza tattile, per lo scambio di informazioni anche corporee. Senza dimenticare, giusto per fare altri esempi di libero scambio tra didattica e creatività, i numerosi «puzzle» per bambini ideati da Enzo Mari o la sua «illimitata» libreria in cartone (tutti materiali prodotti sotto l’egida di Danese), l’installazione Sediolina in legno (1971-1975) del napoletano Riccardo Dalisi (13) o il gioco di costruzioni Baby-lonia (1973), pensato da Gianni Arnaudo e Studio 65 per Gufram e all’epoca adottato da molte scuole in sostituzione dei più arcigni regoli (14): testimonianze di un ecosistema virtuoso in cui le idee circolanti nel mondo dell’arte informavano quelle inerenti la dimensione della scuola, e viceversa, arricchendosi a vicenda, così da rendere l’espressione del sé formulata in entrambi i campi un’esperienza biografica all’insegna di un incessante processo generativo. Sebbene, allora, non si sapesse, il sistema di arredi scolastici progettato entro il ’78 dal Centrokappa di Noviglio, comprensivo di brandine lavabili per il riposo pomeridiano (15), chiuderà in qualche modo l’epoca della quale i mobili-giocattolo dell’architetto Szczepan Czerski (per Il Trilobite di Milano), i mobili «trasformabili» dello Studio Tetrarch e quelli in cartone cannettato proposti dall’ufficio tecnico della Emme Edizioni (16) erano stati irripetibile avanguardia, purtroppo inaugurando un’altra e più tetra epoca in cui le riforme scolastiche, con tutti i loro corollari, verranno concepite come estensione ancillare della litigiosità dei partiti politici (17), senza più la capacità di esprimere idee compiute di riforma e rinnovamento. Ritornando su quel maestro di cui si diceva all’inizio, così ossessionato dalla «bellezza del non comandare» da dedicare gli ultimi anni della propria vita all’istituzione di una Casa delle arti e del gioco dove accogliere la mostra permanente La scienza in altalena (18), sui giocattoli scientifici costruiti con materiali «poveri» («Per restituire ai bambini la possibilità e il piacere di scoprire, giocando, concetti scientifici e abilità tecniche, ampliando così la loro cultura»), verrebbe da pensare, ottimisticamente, di aver appena collazionato una rassegna di istanze civili, utili se non altro a ricordare come l’istituzione scolastica, malgrado le inevitabili fragilità, continui però a incarnare valori democratici e a fare cultura nel senso più ampio del termine. Magari grazie anche alla tenacia e alla caparbietà di tanti singoli docenti (non necessariamente a quelli nel tempo libero impegnati a scrivere romanzi o a curare profili Instagram) per i quali, nel pieno e concreto rispetto dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione, la scuola soltanto può compiere il miracolo, come diceva Piero Calamandrei, di «trasformare i sudditi in cittadini». E invece, tra famigerati «banchi a rotelle» e paventati regressi verso letture obbligatorie di testi confessionali, la scuola continua purtroppo a essere al centro d’una distopia di carattere ahinoi non fantasy ma tremendamente, sinistramente realistico.

 

(1)           Mario Lodi, Il paese sbagliato. Diario di un’esperienza didattica», Einaudi, Torino, 1970, collana Nuovo Politecnico.

(2)           Paulo Freire, La pedagogia degli oppressi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1968, collana Documenti Nuovi.

(3)           Maria Montessori, La scoperta del bambino, Garzanti, Milano, 1950, collana Varia.

(4)           Edmondo De Amicis, Il romanzo di un maestro, Fratelli Treves, Milano, 1890, collana Biblioteca Utile.

(5)           Leonardo Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra, Editori Laterza, Roma-Bari, 1956, collana Libri Del Tempo [si legga il capitolo Cronache scolastiche, pubblicato autonomamente, nel 1955, sulla rivista Nuovi Argomenti].

(6)           Lucio Mastronardi, Il maestro di Vigevano, Einaudi, Torino, 1962, collana I Coralli.

(7)           Dina Bertoni Jovine e Renato Tisato (a cura di), Positivismo pedagogico italiano, vol. 1, UTET, Torino, 1973, collana Classici Della Pedagogia.

(8)           Agnoldomenico Pica, Forme nuove in Italia, Carlo Bestetti Edizioni d’Arte, Milano, 1957.

(9)           Per una panoramica sull’arredo scolastico in Europa tra la prima metà del ‘900 e il dopoguerra, si veda Marie-Ange Brayer e Cèline Saraiva (a cura di), L’enfance du design: Un siècle de mobilier pour enfant, Centre National d’Art et de Culture Georges Pompidou, Parigi, 2024.

(10)       Maria Paola Maino, A misura di bambino: Cent’anni di mobili per l’infanzia in Italia 1870-1970, Editori Laterza, Roma-Bari, 2003, collana Le Grandi Opere.

(11)       Beppe Finessi, Su Mangiarotti: Architettura, design, scultura, Abitare Segesta, Milano, 2002, collana Cataloghi.

(12)       Bruno Munari, Che cos’è un Abitacolo, su Domus n° 496 del marzo 1971, Editoriale Domus, Rozzano (Mi).

(13)       Riccardo Dalisi, Architettura d’animazione: Cultura di proletariato e lavoro di quartiere a Napoli, Carucci Editore, Roma, 1975.

(14)       Gianni Arnaudo, Anti-design, Skira, Milano-Losanna, 2021.

(15)       Hélène Meisel (a cura di), L’art d’apprendre, Éditions du Centre Pompidou-Metz, Metz, 2022.

(16)       Articolo informativo Per i bambini, su Domus n° 457 del dicembre 1967, Editoriale Domus, Rozzano (Mi).

(17)       Fabrizio Dal Passo e Alessandra Laurenti (a cura di), La scuola italiana: Le riforme del sistema scolastico dal 1848 ad oggi, Nova Logos, Anzio-Lavinio (Rm), 2017.

(18)       Aa. Vv., La scienza in altalena, Giunti, Firenze, 2011, collana Libri Per Fare.