NON SI VIVE PER COPIARE MA SI COPIA PER VIVERE

di Sandro Ciarlarliello

Per noi insegnanti il mondo che ci circonda è in ogni istante fonte di ispirazione per riflettere e ragionare. La realtà e le storie che la affastellano sono sempre un intreccio di contraddizioni capaci di smussare le rigidità che imponiamo in modo artificioso alle istituzioni in cui viviamo e in cui lavoriamo. La scuola si nutre di queste contraddizioni e non si vergogna di proporle ogni giorno in quello spazio ristretto dell’aula che fatica a contenerle.

 

La scuola come luogo di contraddizioni vive è molto simile al cinema. Non deve quindi meravigliare che spesso il cinema si sia occupato di scuola, come un fabbro che attinge dalla fucina di un vulcano.

 

Uno dei film più celebri a tal riguardo è "I 400 colpi" del regista francese Francois Truffaut. Il titolo è una citazione di un modo di dire francese faire les quatre cents coups e che potrebbe essere tradotto in italiano come combinarne di tutti i colori. Il protagonista del film è infatti il giovanissimo e tormentatissimo Antoine (interpretato magnificamente da Jean-Pierre Léaud), un ragazzo che vive in una perenne esclusione dalle dinamiche familiari e da quelle educative.

Il film è assolutamente da vedere nella sua totalità e complessità. Antoine è spesso assente a scuola, inventa bugie per giustificare il suo mancato adattamento alle rigide regole scolastiche della Parigi degli anni Cinquanta del secolo scorso. L’insegnante del film è un despota, il dittatore dell’aula e Antoine subisce quotidianamente il potere assoluto del maestro.

 

Antoine vive una vita piuttosto sregolata per la sua età ed è trascurato e diafano per la società che lo circonda. Però ha una passione: adora leggere e quando è a casa lo fa molto volentieri. Nel film vediamo il piccolo Antoine leggere avidamente e appassionarsi al romanzo “La ricerca dell’assoluto” di Honoré de Balzac. Tuttavia il suo rendimento scolastico è pessimo e sua madre non trova di meglio, in una logica che oggi definiremmo “meritocratica”, di metterlo in condizione di anelare a un regalo in caso i voti migliorassero. L’occasione da sfruttare per la svolta “meritocratica” è il successivo tema in classe di italiano. Antoine il pomeriggio precedente il tema svolge tutta una serie di rituali che a ripensarci fanno sorridere: per esempio, Antoine decide di creare una piccola nicchia votiva a Balzac, con tanto di lumino, sperando possa ispirarlo per il giorno dopo in classe.

 

Il giorno del tema in classe Antoine usa ciò che ha letto di Balzac, in particolare il dettaglio della “morte del nonno” del romanzo. Quando corregge il tema di Antoine, il maestro se ne accorge e lo punisce severamente accusandolo di plagio totale, esponendo Antoine a una totale umiliazione nello spazio pubblico dell’aula. Antoine, che aveva solo fatto appello alla sua memoria da lettore, ripete invano al maestro che non ha copiato. Il plagio di Antoine, lo capiamo bene da spettatorə, in fondo è il modo in cui lui esprime, inconsciamente, in maniera pubblica il suo straordinario interesse per la lettura. Ma il maestro non vuole sentire ragioni: lo manda dal direttore e da quel momento vediamo la storia di Antoine deragliare definitivamente.

 

Ho visto decine di volte questo film e lo spezzone che ho appena finito di raccontare e ogni volta mi sono posto la stessa domanda. E se il maestro anziché despota e difensore delle regole si fosse accorto che lo scapestrato e reietto Antoine aveva davvero letto il romanzo di Balzac? E se il maestro avesse pensato, per un attimo, che solo chi aveva letteralmente consumato e divorato con passione e ripetutamente quelle pagine poteva ricordare a memoria così bene tratti interi di Balzac? Avremmo avuto un finale diverso?

 

Avremmo oggi una società migliore? Mi chiedo dubbioso.

 

Finora abbiamo guardato uno schermo, abbiamo osservato la realtà con le sue contraddizioni e filtrata da Truffaut. Adesso è il momento di prendere la giacca e alzarsi dalla comoda poltroncina del cinema mentre ancora la pellicola prosegue. Chiediamo scusa sottovoce a tutte le persone sedute accanto a noi perché ci stiamo alzando, perché stiamo interrompendo il flusso della proiezione e della loro visione. Attraversiamo così la fila di poltrone, finiamo nel corridoio della sala e sgusciamo silenziosamente verso l’uscita. Probabilmente ci saranno delle scale da fare, saremo in affanno ma alla fine arriviamo fuori, all’aria aperta. Respiriamo profondamente.

 

Adesso tocca guardarci intorno. Siamo noi protagonistə, sono le nostre le contraddizioni, il nostro ruolo è quello dell’insegnante, non è quello di Antoine.

 

Che cosa avremmo fatto al posto del maestro despota del film diventa immediatamente una domanda eterea, che si diluisce tra i rumori di Bologna, tra voci e traffico che riportano a un bagno di realtà e inquinamento che risulta opprimente.

 

Antoine copia per un motivo preciso: inganna il maestro, per quello che ingannare vuol dire in un contesto scolastico, anche se in realtà quell’inganno nasce da qualcosa che la scuola dovrebbe accogliere e accudire, ovvero la passione per la letteratura.

 

Copiare, infatti, è una parola che assume una sua struttura principalmente a scuola: odora di furbizia ma il suo sapore è quello di una liberazione. Si copia per i motivi più vari: per sfuggire al controllo, per fare bella figura, per non avere rogne, per prendere un bel voto.

E si copia, anche, per rispondere a un ordine che malvolentieri si ritiene di dover eseguire, per non perdere tempo, per avere tempo di fare altro, qualunque altra cosa.

 

Pertanto, la domanda solida e tangibile che mi risuona in testa piuttosto è: che cosa faccio oggi?

 

Nel corso degli anni durante le ore di matematica e fisica ne ho viste praticamente di ogni tipo: bigliettini negli astucci, scritte sulle gambe, formule sulle etichette delle bottigliette d’acqua da mezzo litro, appunti a matita leggerissima sul foglio portato da casa e poi usato per la verifica. Ma ancora oggi, pur senza che io faccia fare la verifica in classe, anche con le esercitazioni in classe comunque lə studenti non demordono e usano tutti gli strumenti a disposizione, dall’app PhotoMath all’ubiqua intelligenza artificiale di ChatGPT.

 

Questi strumenti sono in grado di dare passo per passo la risoluzione di problemi ed esercizi di matematica. Inoltre, pagando un abbonamento mensile o annuale si possono sbloccare varie opzioni che permettono un uso ancora più potente e pervasivo. Questi strumenti promettono un successo immediato a costo intellettivo nullo: non hai veramente bisogno di aver fatto qualcosa prima, perché ChatGPT ti restituisce esattamente ciò che devi scrivere nel testo che consegni, non devi fare ulteriori sforzi. Non devi aver già letto Balzac perché ChatGPT legge Balzac al posto tuo. Non devi aver studiato le equazioni perché PhotoMath e ChatGPT le hanno studiate al posto tuo.

Così copiare perde quell’odore di furbizia e quel sapore di liberazione e diventa un’attività insipida che non dà alcun gusto al palato perché in realtà non sei più tu a copiare: hai delegato anche questo aspetto della tua vita.

 

Quando propongo un problema da risolvere in classe sono già certo che qualcunə farà una ricerca su Google (per loro tutta la Rete è solo Google…) nel migliore dei casi; ma sempre più spesso ormai si carica con l’artiglieria pesante: l’intelligenza artificiale. Quella che inizialmente è una curiosità diventa poi, con il tempo, una dipendenza: qualcosa può dirmi subito come si ottiene una risposta senza che io mi ci metta a ragionare. Al massimo, mi dicono in classe, prima leggo ChatGPT e poi ci ragiono. Inutili sono le mie raccomandazioni barocche: guardate che sapere già dove si trova il tesoro e ricostruire a posteriori le tappe non è esattamente come scoprire pezzo per pezzo dove finirò navigando nel mare del presente. Mi sento sempre un fesso quando cerco di convincere le mie classi a fare matematica prendendosi del tempo.

 

L’intelligenza artificiale toglie tempo al pensiero e al ragionamento puro, anche collettivo, per donarlo ad altre attività. Queste potrebbero essere per esempio l’uso dei social network o di videogames o di puro ozio. In ogni caso, l’esistenza di un’alternativa al puro pensare permette di ridurre il tempo che si dedica al ragionare. Non è tutta colpa delle pervasive tecnologie che ci portiamo dietro ogni istante ma è anche in parte colpa di una logica, diremmo meritocratica, che premia ostinatamente il risultato anziché il percorso, dove gli errori vanno estirpati perché considerati inciampi verso una scalata limpida verso il successo. È chiaro però che la tecnologia che usiamo oggi è diretta discendente della logica meritocratica che abbiamo introiettato.

 

Onestamente non ho la minima idea di cosa fare e mi piacerebbe invece vedere un dibattito collettivo, tra docenti e studenti, capace di andare oltre il feticcio tecnologico. Vietare mi sembra autoritario e oltremodo illogico considerato che comunque lə studenti hanno accesso totale a questi strumenti quando non siamo in aula. La discussione affiancata all’uso di ChatGPT e simili mi sembra un maldestro tentativo di riduzione del danno come per ogni dipendenza: credo non funzioni perché lə studenti usano l’intelligenza artificiale come unico modo per scalfire la rigidità di un mondo che non ha intenzione di cambiare, quindi in modo sovversivo.

 

Infatti, l'istruzione continua a essere, come è da sempre, soprattutto un processo che ha come scopo ultimo la verifica e la valutazione anziché la scoperta e l'immaginazione. Copiare è sempre stato sovversivo, mai reazionario, e sempre lo sarà. Il sistema educativo comprime e opprime, allora se ne esce come si può per sopravvivere, per resistere. Sia come studenti sia come docenti. Con ChatGPT copiare è più facile, senza dubbio. Non c’è bisogno più di arrangiarsi, anche la fantasia ne risente. Questo vale per chiunque calpesti oggi le mattonelle dell’aula: nessunə è esclusə.

 

Per esempio, la frase “quando ho la verifica di matematica copio per necessità” è ormai una frase che appartiene sia a chi studia sia a chi insegna. Chi è studente sa che ChatGPT può aiutare a svolgere la verifica sottobanco e superare l’ostacolo con un buon voto e poche rogne; ma non può usare questo strumento, anzi l’uso è soggetto a punizione.

Chi è docente sa che ChatGPT può aiutare a preparare la verifica da sottoporre, a risparmiare tempo, a occuparsi delle altre incombenze scolastiche; e non solo chi insegna può usare questo strumento ma pian piano è sempre più incentivatə a usarlo.

E se infine pensiamo che qualche studente da grande diventerà docente, allora andremo nel corto-circuito per cui da adultə dovranno usare (per sopravvivere) ciò che da ragazzə era vietato usare (sempre per sopravvivere).

 

Tutto ciò ha portato a un tuffo carpiato con avvitamento: anziché immaginare un sistema educativo capace di avere finalmente uno sguardo critico sugli strumenti che ci circondano, il sapore insipido dell’intelligenza artificiale ingolosisce piuttosto che essere respingente. Così fioriscono corsi, aggiornamenti, eventi di formazione in cui tentano di spiegarci come usare l’intelligenza artificiale in classe, come estrarre attività da questo nuovo strumento. Il mondo educativo ha scelto di lanciarsi su questa tecnologia che ha aperto, così dicono, nuovi orizzonti per l’apprendimento. Siccome, dicono, nel futuro l’intelligenza artificiale sarà pervasiva, allora bisognerebbe ricalibrare ciò che facciamo in classe: usare questi strumenti anziché farsi usare. Far diventare questi strumenti un’ulteriore appendice, una propaggine del proprio corpo. Per andare in un futuro già scritto da qualcun altro a cui sembra possiamo soltanto scegliere di adattarci, se ci riusciamo.

 

Il dibattito dei prossimi anni rischia di diventare meramente un confronto su come continuare a valutare se lə studenti hanno anche accesso all’intelligenza artificiale. Questo però perché si accetta l’ineluttabilità nelle nostre vite dell’intelligenza artificiale e delle tecnologie che in generale delegano i processi di apprendimento. Certo è che risulta difficile creare condizioni di democrazia con tecnologie che appartengono a una oligarchia internazionale. Come possiamo portare in classe ancora oggi un qualche tipo di freschezza tra adolescenti le cui vite sono dominate, come scriveva Mark Fisher nel suo libro “Realismo Capitalista”, da una sorta di impotenza riflessiva per cui loro sono convintə già che non possono incidere per cambiare le cose e quindi a loro volta, inevitabilmente, le cose non cambiano mai?

 

L’arrivo dell’intelligenza artificiale potrebbe essere invece una buona occasione, nonostante sia figlia della meritocrazia, per mettere in discussione l’ostinata passione per la valutazione della performance, dei risultati, del “profitto” scolastico. Potrebbe essere l’occasione per tornare dentro al cinema, togliersi la giacca, chiedere di nuovo scusa a tuttə, recuperare il proprio posto sulla poltroncina e guardare un film che prende un binario differente e arriva nel futuro. Dove copiare è riconosciuto finalmente come sintomo di un problema più grande e non come di un aspetto da punire. Dove il maestro esclama ad Antoine: “Sì, hai copiato, ma raccontaci del libro che hai letto senza che te lo chiedessi come compito per casa”.

 

E magari poi vedere il maestro che esce dalla scuola a fine lezione, alza lo sguardo al cielo e si domanda pieno di dubbi se ha senso continuare a proporre una didattica dove è logico che si cerchi di copiare, accade ogni volta, accade da sempre. Gli piacerebbe riflettere su queste cose ma ha già forse perso troppo tempo, vorrebbe discutere ma deve preparare le verifiche e le lezioni per domani, quindi - pensa ancora dubbioso - forse userà anche lui ChatGPT visto che non ha più molto tempo oggi.