UOMO DI COLORE

La strana metamorfosi di un libro

 

di Enrico Roversi

 

 

A volte capita. Presti un libro ad un collega, te ne dimentichi, il libro non viene restituito e quando ti serve non ricordi più quando e a chi l’hai prestato. Mi è successo con «Uomo di colore» di Jerome Ruillier edizioni Arka 2000, un bellissimo volume, splendidamente illustrato che nasce da un racconto africano contro il razzismo. Un bambino nero parla a un bambino bianco e mette in discussione, con semplicità e allegria, l’epiteto “uomo di colore”: lui ha sempre la pelle scura, mentre il coetaneo nasce rosa, diventa rosso con il sole, blu con il freddo… Un libro intriso dall’inizio alla fine di umorismo. Come sosteneva Avner Ziv nel suo “Perché no l'umorismo? Il suo possibile ruolo nell'educazione” Emme Edizioni 1981: “Tra tutti i comportamenti umani, l’umorismo è forse il più ricco…Ciò che avvertiamo è una gioia pura, un vero piacere. L’umorismo, oltre a queste manifestazioni fisiologiche, contiene in sé tutta la ricchezza della psicologia umana. Comprende aspetti intellettuali, emotivi, sociali e fisiologici”. A scuola, nell’affrontare certi argomenti (ma non solo), di umorismo abbiamo estremamente bisogno.

Ho ricercato questo libro scoprendo che ormai è fuori catalogo ma ne esiste una nuova edizione da parte dello stesso editore. Delusione. Il titolo è stato cambiato, il testo è stato modificato, le illustrazioni sono completamente diverse.

 

Partiamo da titolo. Uomo di colore” è diventato “Bambino di colore”. La scelta depotenzia l’umorismo graffiante del racconto, teso a distruggere questa metafora razzista. Inoltre, sposta pesantemente sul bambino-lettore responsabilità che sono proprie del mondo degli adulti. Nessun bambino nasce razzista, lo può diventare interiorizzando la cultura che lo circonda ed i messaggi che gli provengono dagli adulti. Nella prima edizione di questo libro, anche se i protagonisti rimanevano pur sempre due bambini, l’umorismo veniva proiettato verso gli stereotipi degli adulti ed il lettore-bambino poteva, attraverso l’ironia, prenderne le distanze ed avere la possibilità di decostruirli. Nella seconda edizione la distanza e con essa il mondo adulto e le sue responsabilità scompaiono così come la possibilità da parte del lettore-bambino di decostruire dentro di sé attraverso l’ironia.

 

Questo appare evidente dalle differenze tra i due testi: 

 

Io, uomo nero, quando sono nato ero Nero

Tu, uomo bianco, quando sei nato, eri Rosa

Io, ora che sono cresciuto, sono sempre Nero

Tu, ora che sei cresciuto sei Bianco

Io, quando prendo il sole sono Nero

Tu, quando prendi il sole sei Rosso

Io, quando ho freddo sono Nero

Tu, quando hai freddo sei Blù

Io, quando sarò morto sarò Nero

Tu quando sarai morto sarai Grigio

E tu chiami me uomo di colore!!!

 

Quando sono nato, io ero nero
quanto tu sei nato, eri rosa
quando mi arrabbio, io rimango nero
quando tu ti arrabbi, diventi rosso
quando ho freddo, io rimango nero
quando tu hai freddo, diventi blu
quando ho paura, io rimango nero
quando tu hai paura, diventi verde
quando ho mal di pancia, io rimango nero
quando tu hai mal di pancia, diventi giallo
quando vado al mare, io rimango nero
quando tu vai al mare, diventi nero. E ti piace!

Allora… chi è il vero bambino di colore?


 

Anche la scelta di cambiare la chiusa finale è nel solco di quanto fin qui detto. L’ affermazione sarcastica, conclusiva della prima edizione, e finalizzata a far scattare il sorriso canzonatorio e liberatorio, viene trasformata e anestetizzata in una più innocua domanda retorica. Senza contare che il tema della morte, immediatamente precedente alla conclusione del testo e direttamente collegato ad esso come beffa e scacco finale della logica razzista, viene completamente espunto. Viviamo in tempi in cui gli adulti estendono il loro tentativo di esorcizzare la morte anche ai bambini facendo offesa alla loro intelligenza e violenza alla loro sensibilità.

 

Confrontando le due copertine. nella prima edizione il protagonista è il “bianco” in realtà multicolore; nella seconda edizione è il “nero” macchiato di colori, un’assurdità nella logica del testo. Un rapido accenno alle illustrazioni: la vecchia grafica, con tratti semplici e vivaci di pastello, si sposava perfettamente allo spirito ironico di fondo. Scomparso questo, va da sé che tutto si mischi tra varie tecniche (illustrazione, grafica, fotomontaggi) restituendo freddezza e distacco dal testo, producendo un effetto estraniante.

 


 

Il linguaggio scritto e iconico della prima edizione, immediato, a tinte forti, caldo e diretto come piace ai bambini, è stato modificato ad uso e consumo degli adulti che, come si diceva inizialmente, sembra vogliano sparire dietro le quinte e lasciare il piccolo lettore alle prese col “suo” razzismo. 

 

Cerchiamo di porci delle domande circa i motivi all'origine di questa scelta da parte dell'editore. Non possiamo certo avere delle certezze ma solamente formulare alcune ipotesi. Partiamo dal fatto che la nuova edizione italiana del libro non è firmata da nessun autore ma compaiono solo i nomi dei nuovi illustratori mentre nell'edizione precedente la firma era del francese Jerome Ruillier, sia per il testo che per le illustrazioni. In fondo Ruillier si era ispirato ad un racconto popolare africano (che in quanto tale non ha diritti d'autore) e l'editore italiano, modificando il testo e cambiando le illustrazioni, potrebbe aver trovato il modo di non pagare le royality. Un'operazione squisitamente commerciale quindi? Oppure l'editore potrebbe aver pensato che il testo di Ruillier fosse poco politically correct rispetto ai gusti del pubblico italiano, visto il livello del dibattito corrente, decidendo di assecondare quella che è la nostra storica e italica rimozione del razzismo a partire dal colonialismo, passando per la seconda guerra mondiale fino ad arrivare ad oggi. Un'operazione politico-culturale e commerciale? Controllando su internet si può scoprire facilmente che l'editore francese ha ripubblicato recentemente il libro di Ruillier senza apportare modifiche o variazioni. Ma si sa, alla vicinanza della geografia fisica spesso non corrisponde quella culturale. I dubbi rimangono e un po' d'amarezza pure.

 

In conclusione, ringrazio le biblioteche di esistere e di continuare a conservare le vecchie edizioni.