IL CORPO SCOMODO
di Gianluca Gabrielli
Aprile 1958. Il Provveditore di Bologna scrive irritato ai Direttori didattici lamentando che dalle relazioni degli ispettori emergono sempre solo alcune materie, mentre altre – come l'educazione artistica e l'educazione fisica – praticamente non esistono. Ciò - secondo il Provveditore, rafforza negli insegnanti la convinzione che si tratti di discipline trascurabili; per ovviare a ciò chiede che, per quanto riguarda l'educazione fisica, “ciascuna direzione [faccia] giungere a questo ufficio entro il 10 aprile entrante un elenco nominativo degli insegnanti di ogni circolo, con indicazione, in apposita colonna, dell'esercizio di ginnastica preparato per la fine dell'anno scolastico”. Nell'archivio dell'allora VII circolo bolognese sono conservate le note compilate dagli insegnanti e utilizzate dalla segreteria per rispondere al Provveditore. Bellissime.
Bellissime perché sono un magnifico spaccato di cent'anni di storia dei corpi nella scuola primaria italiana. Infatti da questi brevi scritti emerge ancora preponderante - soprattutto per le classi maschili - l'impostazione militare affermatasi già nell'Ottocento e rafforzata dal fascismo. Nella quinta maschile del maestro Torricelli ad esempio troviamo: “adunata, attenti e riposo, allineamenti, cambiamenti delle formazioni di squadra e rudimentali addestramenti di marcia”; ma anche nella terza maschile della maestra Vignola Elide nata Golinelli non si scherza: “L'attenti e il riposo. In riga e in fila. Numerare per 1, 2, 3. Fianco dest, fianco sinist, il dietro front – segnare il passo”. La maestra Marchesini per la propria terza femminile cita pure la “marcia per terziglie”, vero fossile vivente della circolare del 1928 del ministro Belluzzo [ http://www.cespbo.it/immagini/fascismo/1927_marcia_ternaria.jpg ] che introdusse in questo modo l'andatura delle “legioni fasciste” nella scuola elementare, riesumando l'incedere delle gloriose “legioni romane”. Ultimo esempio, il maestro Poli che propone alla sua quinta un'esercitazione degna dell'accademia navale: “Movimenti ritmici, con bandierine bicolori, riproducenti parole segnalate con l'alfabeto Morse”.
Questo marciare, questi schieramenti evidentemente non erano vissuti solamente come educazione premilitare, ma come strumento di ordine e disciplina, e come tale sopravvivevano al fascismo e mantenevano la loro funzionalità nella scuola tradizionalista e autoritaria alla vigilia del boom economico. Come scriveva la maestra Cretti che faceva fare “marcia ordinativa e cadenzata; marcia libera” nel corridoio: “Ho considerato l'educazione fisica come un mezzo all'autocontrollo, alla disciplina, alla socievolezza”.
Insieme al piglio militare dominano gli esercizi segmentari di ginnastica educativa: “Semplici esercizi elementari delle estremità inferiori e superiori” ad esempio, oppure “esercizi elementari a corpo libero: spinte, slanci, flessioni, piegamenti, ecc”; o ancora, più dettagliati: “piegamenti del busto. Torsioni; flessioni del collo; varie posizioni delle braccia”. Alcune di queste sequenze vengono svolte in aula, forse per comodità (in fondo si tratta di attività finalizzate ad “imbrigliare” i corpi), più spesso perché in alcune scuole manca una palestra. Su questa carenza il maestro Caizzi di quarta prova anche ad argomentare una lamentela:
“Non ho preparato nessun esercizio ginnico per ragioni ovvie. Gli iscritti alla mia quarta sono 37 e nello spazio che abbiamo a disposizione non si possono fare, né schieramenti, né formazioni e pertanto la ginnastica possibile si riduce alla marcia, alla formazione e schieramento per due, ai movimenti di fianco e di fronte alla contromarcia. Si capisce che sono stati eseguiti quegli esercizi di flessione, piegata e rotazione che permette lo spazio del corridoio”.
Ovviamente però il filtro burocratico della segreteria cassa ogni critica e argomentazione, sintetizzando il tutto al Provveditore con laconico pragmatismo: “flessione e rotazione - piegamenti”.
Accanto a questi tenaci elementi strutturali compare il filone del gioco, vitale nonostante tutto in alcune classi: “esercizi imitativi, giochi con la palla, giochi” in una terza maschile, “il ballo delle cicogne” in una terza femminile, “Il cacciatore e la lepre, la bandiera, la staffetta” in una mista. Insomma, l'idea che il gioco corporeo possa trovare uno spazio nell'educazione fisica non è inesistente, ma minoritaria, subordinata al fine primario del disciplinamento.
Leggendo queste note mi veniva da chiedermi cosa scriveremmo oggi ad un provveditore che - controcorrente - si interessasse di didattica e ci invitasse ad una sintesi dell'attività in palestra. Sarebbe un bello spaccato della materia. Cosa ne emergerebbe? Azzardo un'ipotesi: una buona percentuale delle classi appalta l'educazione motoria agli esperti delle associazioni sportive. E' l'esito e l'eredità pesante di una sconfitta del sistema di formazione degli insegnanti, che non ha saputo fornire strumenti per organizzare produttivamente il tempo dell'educazione motoria, intrecciandolo con gli altri apprendimenti e mantenendolo ben legato alle finalità della crescita psicomotoria e sociale dei bambini e delle bambine. Le società sportive hanno il loro tornaconto nel proporsi alle scuole: o si fanno pagare dai genitori, o dai fondi dei progetti. In molti casi si offrono gratuitamente, per promuovere la loro attività privata e per cercare talenti sportivi da traghettare nella pratica agonistica. Così la sinergia tra il disagio degli insegnanti e gli interessi delle società sportive cresce da sé.
Ma ha un senso proporre attività sportive specialistiche fin dalle prime classi della scuola elementare? Perché impegnare i bambini nella pallamano piuttosto che nel baseball, nella pallavolo piuttosto che nella pallacanestro, fin dai sei anni? Certo, molti di questi istruttori sono competenti e propongono attività multilaterali, lasciando in sordina gli elementi specialistici della disciplina sportiva, ma credo che la maggior parte operi tutt'al più una semplificazione delle attività senza porsi minimamente il problema di un'integrazione con le altre pratiche didattiche della classe. Ed è un peccato, perché le ore di educazione fisica rischiano di ridursi ad una parentesi sportiva aperta e chiusa dentro il flusso delle attività scolastiche.
Un'occasione per cambiare qualcosa era emersa, ma è stata persa negli ultimi vent'anni. Dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, infatti, i docenti di educazione fisica hanno iniziato a ritrovarsi in soprannumero per effetto dei tagli e della ristrutturazione dello stato sociale. Poteva essere strategico mantenere una parte di quei posti di lavoro facendo affiancare questi docenti ai maestri e alle maestre: non per sostituirli, ma per aggiornare in itinere, lavorando in compresenza. Il lavoro in parallelo avrebbe fatto entrare nella scuola primaria idee, giochi, conoscenze specifiche maturate nella pratica dei professori e delle professoresse, mentre la presenza delle maestre avrebbe fornito allo specialista la conoscenza dei bambini, assicurato il collegamento alla programmazione, declinato le idee ai ritmi di crescita dell'infanzia. Purtroppo la storia è andata diversamente.
Oggi il combinato di sentenze europee contro la precarizzazione pluriennale e di progetti neo-liberali di riforma della scuola sta portando molti insegnanti di educazione fisica nelle scuole primarie. Sono quegli stessi che hanno vissuto vent'anni di precariato. Sembra la versione farsesca - caotica e casuale - di quello che si poteva fare in maniera pensata ed ordinata vent'anni fa. Però questa è la realtà. Mi viene da dire: dove questa possibilità di affiancarci e di imparare “tra pari” si materializza, perché non approfittarne?
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