WHAT IT IS IS BEAUTIFUL

Storia di giochi e differenze di genere

di Redazione

 

 

"What it is is beautiful”, qualunque cosa sia è bella.

Siamo nel 1981.

Un'immagine semplice e uno slogan potente che cozzano contro il sessismo di cui è permeata la società. Una pubblicità liberante: le bambine potevano uscire dal mondo delle cucine e delle bambole da accudire per rimboccarsi le maniche ideando, progettando e realizzando costruzioni frutto della propria creatività e ingegnosità.

  

Ma procediamo con ordine e cerchiamo di ricostruire per sommi capi quel contesto. Fino agli anni '60 la quasi totalità dei libri di lettura, compresi i testi scolastici, prescriveva i ruoli di genere.

Le bambine dovevano non solo rientrare in questo canone ma aspirarvi.

La piccola protagonista di I miei primi pensieri di Alda Fontanelli (1971) chiede alla mamma di spazzare i pavimenti e poi si impegna ad apprendere ciò che costituiva il know-how della giovane:

Indosso il grembiulino che adopero quando lavoro, afferro la scopa e comincio adagio cercando di trascinare lo sporco e la polvere verso la pattumiera. [...]

-Mamma, va bene?

-Benissimo!

Io sono contenta e mi sento proprio una donnina di casa”. [pp. 56-57]

 

Fu negli anni Settanta che qualcosa mutò profondamente. Sulla scia di una messa in discussione della tradizionale divisione dei ruoli (e dei poteri) tra uomini e donne, anche per i piccoli si era aperta la possibilità di costruire più liberamente la propria identità personale. Il libro di Elena Giannini Belotti Dalla parte delle bambine aveva mostrato quanto il genere fosse una costruzione storico -sociale e, nella scuola, avevano perso molto terreno le proposte tradizionali che chiedevano alle bambine la perizia nella pulizia della casa e ai maschietti il coraggio e l'esuberanza fisica. Sotto questa spinta mutarono i libri di testo e la trasformazione fu così estesa che coinvolse persino lo stereotipato mondo dei giocattoli. Anche i produttori di giochi per l'infanzia avevano compreso che le vendite seguivano nuovi interessi e che i gusti delle bambine e dei bambini stavano cambiando. Non c'erano più solo i maschietti interessati ad esplorare, a costruire, a fare i piccoli chimici.

 

A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta possiamo osservare questi cambiamenti attraverso la pubblicità della Lego, la celebre marca di costruzioni. In quelle immagini bambine e bambini, vestiti con abiti semplici e di tanti colori diversi, mostrano orgogliosamente ciò che hanno creato. Gli slogan che accompagnano le immagini sottolineano il valore di quelle strane realizzazioni incoraggiando l’autostima.


D'altronde il gioco che veniva proposto (a differenza di oggi) non era finalizzato ad una costruzione particolare, ma lasciava spazio alla creatività della bambina e del bambino. Anche la multinazionale quindi scendeva a compromessi con le istanze provenienti dalla società e permetteva alla bambina di uscire dallo stereotipo di genere.

 

Trent'anni dopo, cioè adesso, il trend si è di nuovo invertito drammaticamente. A partire dagli anni Novanta si è assistito a quello che il marketing chiama re-genderization: il ritorno ai generi, alla differenza. Oggi la Lego, attraverso la linea Lego friends, propone una cosa diversa: modelli da costruire differenziati per maschi e per femmine e anche se ultimamente, a seguito di diverse proteste, ha cercato di inserire nuovi personaggi femminili con ruoli solitamente attribuiti ai maschi (ad esempio un’esploratrice, un’ingegnera aerospaziale, una meccanica) sostanzialmente continua nella sua linea sessista dimostrando di aver messo in scena una semplice operazione di marketing e non un cambio di tendenza. La dimostrazione sta nel fatto che la Lego è stata recentemente criticata da un gruppo di organizzazioni genitoriali per la scelta di inserire in una nuova collezione di “omini” un personaggio su una sedia a rotelle che è però un anziano: la critica è che il nuovo personaggio contribuisca a promuovere lo stereotipo che la disabilità sia propria solo delle persone anziane. Cosa c'entra questo con il discorso di genere? Nel video di presentazione della nuova serie la sedia a rotelle viene spinta da un personaggio femminile relegando il lavoro di cura di anziani e disabili ancora una volta allo stereotipo di genere.

 

Fino a che, di nuovo, la società non mostrerà di saper respingere i cliché sessisti, le industrie – in primis quella dei giocattoli – continueranno ad imporre all’immaginario dei più piccoli e non solo modelli di gioco (quindi di vita) certamente non atti a costruire un mondo in cui ognuno può sentirsi libero di essere chi desidera. E il linguaggio che il marketing ascolta, si sa, è quello delle vendite.

A buon intenditore, poche parole.