LA ESCUELITA ARROYO CARAGUATA

di Teresa Rossano

 

È mattina presto quando salgo sul treno per Tigre, efficiente, nuovissimo, temperature antartiche, visto che ci troviamo nell'emisfero australe. Nord di Buenos Aires, dove inizia il delta del Paranà. Canali che si diramano in rami più stretti, dove l'acqua si fa più bassa. Case di città, case di vacanza per il fine settimana ma, appena svoltato l'angolo, il canneto e gli alberi sulla riva, si affacciano i moli di legno di case che di vacanze non ne hanno mai viste, forse tempi migliori, piuttosto un presente in bilico. La barca di legno va lentamente, fermandosi a raccogliere roba da mangiare in sacchi sbattuti sul tetto e persone che si affacciano sul molo, a destra o a sinistra. Quanto ci si mette dipende da quante volte il conductor, occhi e sorriso nello specchio retrovisore, deve fare manovra per accostare. Tempo lento, altre unità di misura. Salgono cinque bambini. Sale un gruppo di ragazze e ragazzi con i dread e gli strumenti musicali. Tutti corrono al molo uscendo dalle case a volo, aspettano di sentire l'inconfondibile rumore della lancha per avvicinarsi. Inutile guardare l'orologio, inutile aspettare alla fermata, sono troppe le variabili in questo spazio liquido per pensare a tempo.

 

L’escuelita però arriva, dopo che ti sei distratta, presa da acque scure e marroni, da versi di uccelli che non conosci, da persone che cerchi di indovinare dietro gli alberi e dietro le finestre. Altri salgono, quasi nessuno scende. Arriviamo tutti insieme, bambini, musicisti frikkettoni, ragazze e ragazzi norvegesi, inconfondibili nella fauna locale.

 

Sul molo Jorge e Valentina, Delia è già in cucina da un pezzo, il suo sorriso si sporge per un attimo. Verrà dopo a sedersi, quando si sarà assicurata che tutti i bambini hanno avuto il latte col cioccolato.

 

Subito, in un attimo, ognuno inizia a fare, a suonare, a disegnare, a cucinare. Valentina prende fuori le marionette dalla valigia di cartone della nonna, i pennelli e i fogli dagli armadi e i bambini tirano fuori i disegni dai colori, ritagliano la carta, vanno a suonare nella sala di musica attratti dal pifferaio rock, dalla batteria e dalle chitarre elettriche. Ci si mette poco a girare l’escuelita, ci si gira attorno in fretta, un po’ di terra, l'orto, il pozzo antico, il limone e il banano che ha fatto un fiore rosa pieno di nettare e di api, le piante di peperoncino calabrese riparate qui per sfuggire ai topi da balcone di Buenos Aires.

 

Tutto è iniziato nel 2007 quando Jorge ha lasciato la provincia di Misiones per tornare più vicino a Buenos Aires e ha iniziato a ripulire questo posto abitato dai topi di fiume, ben sistemati fra i libri di una vecchia biblioteca abbandonata da anni, precisamente dal 1977. Perché, in realtà, la storia è iniziata molto prima, precisamente nel 1911, quando qui viene fondata e costruita una scuola in legno e lamiera. Lo dice la targa del Municipio, lo dice il sostegno della bandiera che, come ancora si fa oggi nelle scuole argentine, veniva issata tutte le mattine. Ci venivano i bambini in barca, come oggi. Non ci si muove che così fra una casa e l'altra. C'era una sola maestra che viveva qui, mi spiega Delia che ci ha passato l'infanzia e l'adolescenza e poi ci ha mandato i suoi figli fino al 1977, quando la scuola è stata chiusa perché i bambini erano pochi. Per un po’ ha continuato a funzionare nel fine settimana, insieme alla biblioteca. Poi, chiusa, è stata donata alla Municipalidad dalla famiglia francese che ne era proprietaria, con la condizione che diventasse un luogo di diffusione di cultura. E proprio su questo ha fatto leva Jorge quando l'ha scelta per occuparla: voleva farne un centro culturale, un luogo per esporre i bambini all'arte, a stimoli che non possono trovare qui in alcun modo. Non nella scuola pubblica distante ore di viaggio sul fiume e giorni in cui la lancia non riesce a passare. Una scuola dove, in media, si impara a leggere al quarto anno. Non sempre nelle famiglie, dove il modello da seguire irrompe molto presto nell’infanzia dei bambini e delle bambine, piccoli già adulti, responsabili di nidiate di fratelli piccoli e lavori di casa.

 

Per primo, fra il pavimento crollato e il tetto sfondato, viene aggiustato il salone grande, poi si ristruttura il resto, per quel che si può, poco per volta, ma intanto ci si iscrive come biblioteca municipale. Si iniziano anche le lezioni, la prima materia è inglese, insegnata da un ragazzo belga, poi musica e danza. L'espressione artistica costituisce la base del progetto culturale, agìta nelle forme che i volontari portano e i bambini richiedono. Oggi ci sono anche gli specchi nel salone che cadeva a pezzi e c'è anche un teatro di burattini. Una donazione particolarmente generosa ha permesso addirittura di creare una stanza di musica insonorizzata, per evitare problemi coi dirimpettai di sponda. Tutto questo diventa possibile attraverso sottoscrizioni di chi viene qui e ci crede. Anzi, viene qui, si innamora e ci crede. Anziani o giovani, facoltosi o meno, progetti di crowdfunding. Lo stato finanzia con 250 euro al mese, da rendicontare con scrupolo. Il lavoro è sempre volontario, si viene nel giorno libero dal lavoro affrontando i lunghi spostamenti, portando con sé roba da mangiare, la torta al cioccolato cucinata per la colazione, il materiale per la scuola. Ognuno ciò che può e, anzitutto, ciò che sa fare, ciò che ha voglia di condividere. Gli insegnanti insegnano, i musicisti suonano e chi lo sa fare costruisce una veranda nel giardino. Ci sono bambini che sono cresciuti qui, oggi adolescenti dai sorrisi profondi, come Maxi e Josè. Suonano e stanno dietro ai piccoli. Guillermo cerca di convincerli a continuare gli studi col suo aiuto, in Argentina l'università è gratuita, ma non è facile convincerli a imbarcarsi per una nuova vita in città.

 

Fra tanta gente che va e viene alcuni ci sono sempre e fra questi Delia, Beatriz e Nilda, tutte e tre ex alunne della scuola delle origini, tutte e tre bravissime nel cucire e ricucire relazioni, anche all'interno del gruppo dei volontari della commissione direttiva, mai stanche di affrontare con pazienza le riunioni in Municipalidad, di occuparsi della comida che ognuno che passa di qua vorrebbe secondo i suoi gusti, tradizionale, alternativa, vegetariana, ma che deve garantire ai bambini un gusto e un apporto nutritivo che fuori non hanno. La vita dura che si fa da queste parti non ha impedito a queste donne di continuare a sognare, hanno aperto la loro porta al desiderio di veder rivivere la scuola, sono uscite dalle case, sono venute via dalle cucine, così mi dice Delia, con allegria. L'entusiasmo di Jorge le ha trascinate e ora, quando lui è stanco, ci sono loro a fare da traino. Dice Jorge, che l80% dei progetti sociali in Argentina è in mano alle donne, maestre di relazioni, pratiche e determinate. Qui mettono insieme il desayunol’almuerzo e la cena e sono rappresentanti ufficiali e amministratrici. Vorrebbe, Delia, che i bambini avessero un punto di riferimento e di appoggio. Vorrebbero, Jorge e Valentina, dare gli strumenti ai bambini per costruirsi un futuro, esporli alla bellezza di un libro, della musica, dei colori. Tutti e tutte lavorano per questo, con la stanchezza che a volte ti prende nelle situazioni collettive dove molti vanno e vengono, con tante belle idee, infinite discussioni e un'organizzazione difficoltosa.

 

E difficoltoso è pure il rapporto con i vicini, a volte ostili e sospettosi verso ciò che non capiscono, che boicottano le attività e fanno partire denunce a raffica. Ma l'importante è avere i bambini che vengono fin qui a giocare e a mangiare e intanto prendono un libro in prestito, anche se magari non riescono ad avere la concentrazione per andare oltre qualche riga. La rabbia si esprime anche nella mancanza di attenzione e nel distruggere le cose, a volte. Io l'ho vista montare per tutta la mattina, aggirarsi fra giochi abbandonati e dispetti, per trovare poi la strada di un assolo di batteria, la rabbia nel ritmo, gli altri che ti seguono col basso e la chitarra e gli occhi che riprendono la limpidezza di un bimbo che si diverte e si esprime.

 

Alla fine della giornata c'è la “lezione di mate”. Nel rito si beve tutti insieme e non si dice grazie. Poi si aspetta la lancia che tarda, e non sai bene a che ora passerà. Fra suoni e quiete arrivano veloci i colibrì, la luce è bassa sul limone del giardino, mentre il tempo sta cambiando. Il ritorno sarà lungo, ma tanto in questa scuola il tempo fa parte della vita. Una cosa è chiara: nessuno insegna, nessuno impara. Si trasmette ciò che si è, con reciprocità. Che significa che se ho portato una lezione sul feudalesimo in sbilenco castigliano inventato su due piedi, vado via con ciò che ciascuno, a suo modo, mi ha dato. E non c'è storia. Ed è questo il senso di tutto.